Aprire nuovi sentieri interiori: quando i COME superano i PERCHÉ
Eccoci! 🙂
Bentornata/o nel diario di bordo dove viene raccontato il corso multi-qualifica per diventare Orientatore e Counselor! Siamo all’ottavo incontro, del 28 ottobre 2023.
Questa giornata di formazione è stata fondamentale: corpo e mente sono stati messi a dura prova, affrontando impegnative ma indispensabili attività formative.
🟡La creatività come strada maestra🟡
Come futuri orientatori e counselor adattarsi creativamente durante il colloquio è fondamentale. Attivare la creatività spesso è sinonimo della capacità di pensare in modo alternativo, in modo straordinario.
Quando la situazione lo richiede, come quando ci troviamo di fronte ad un/a cliente che fatica a far emergere la sua emotività o individuare il suo vero problema, quando perciò mobilizzare l’energia verso una nuova esperienza, verso nuove possibilità, risulta molto difficile, rompere lo schema andando fuori dalle righe del pensiero logico-razionale e seguire il flusso del pensiero laterale e divergente potrebbe essere la strada giusta da percorrere.
Non sempre ovviamente. Stare nel flusso della relazione, nel rispetto del cliente, è il primo degli obiettivi che un orientatore dovrebbe sempre tenere a mente.
Così abbiamo ripassato ciò che significa stare davvero nella relazione, come quando attiviamo i nostri sensi per condurre un’osservazione fenomenologica ottimale. Quella dove siamo necessariamente chiamati a porre una costante attenzione fluttuante, che ci permette di osservare e ascoltare i vari livelli dell’esperienza: sensorio, corporeo, cognitivo, emotivo, ecc.
Ma…
Come facciamo a stare nella relazione se il cliente devia la sua stessa energia, attivando delle resistenze al contatto?
Come facciamo ad orientare gli altri se siamo continuamente disorientati dalle parole e dai comportamenti altrui?
Sono le preoccupazioni che spaventerebbero chiunque abbia desiderio di diventare orientatore o orientatrice.
Non abbiate paura di provare qualcosa di nuovo (lo dico a me prima di tutto)
Le stesse paure che ognuno di noi ha avuto in aula quando siamo stati chiamati a simulare dei colloqui di orientamento. La paura di sbagliare, di essere giudicati, di non essere capaci di stare nella relazione e quindi di non essere d’aiuto. Di non orientare.
🟡Quando i COME superano i PERCHÉ🟡
Cosa succede quando troviamo un problema di fronte a noi? Cerchiamo di risolverlo, vero? La differenza sta nel COME affrontare il problema.
La docente Claudia Battistoni ci ha fatto esercitare sul problem solving, ovvero sulla nostra capacità di analizzare un problema e di trovare una soluzione allo stesso, prima individualmente, poi in gruppo e poi durante il colloquio di orientamento.
Abbiamo compreso come, durante un colloquio, dovrebbero venir meno le domande sul perché accadono le cose, tipico dell’approccio scientifico, per concentrarci su come queste accadono, ovvero sulla tecnica per trovare una soluzione.
Non esiste una formula scientifica che ci permetta di orientare sempre in modo ottimale.
Certamente le persone che incontreremo lungo il nostro cammino come orientatori saranno sempre differenti. Perciò non possiamo pretendere di rimanere sempre uguali a noi stessi, seguendo delle formule magiche, o di non adattarci al nuovo. Certo, un pizzico di paura potrebbe esserci sempre, ma essendo consapevoli che fa parte dell’imprevedibile e straordinario processo relazionale.
Ci decostruiamo e costruiamo nelle relazioni, sempre e comunque.
Perciò dovremmo evitare di cercare i perché… ovvero rinunciare alla pretesa di una conoscenza a priori del fenomeno in oggetto, di ciò che accade durante la relazione d’aiuto e porci in un’ottica completamente diversa. Rinunciando a qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento.
In questa ottica è la soluzione che si adatta al problema e non viceversa.
Così, la Battistoni ci ha fatto approfondire e sperimentare la tecnica dei 6 cappelli di Edward De Bono, che ci insegna a spostarci dal sé, dalle etichette che ci siamo dati in termini di modi di pensare, riflettendo sul COME pensare diversamente per affrontare creativamente diversi tipi di situazioni.
🟡I 6 cappelli per pensare (DIVERSAMENTE)🟡
Questa tecnica dei 6 cappelli ci ha aiutato a uscire dal sé e sperimentare altri modelli di pensiero. Ogni cappello colorato rappresenta un modo di pensare. Nella lista seguente, una sintesi di come ogni differente cappello colorato ci può aiutare:
Abbiamo potuto sperimentare cosa significa indossare ognuno dei 6 cappelli colorati e quindi modalità di pensiero al quale forse non siamo abituati.
Se pensiamo allo svolgimento del colloquio, avendo in mente il ciclo di contatto gestaltico e le sue fasi (ritiro, sensazione, consapevolezza, mobilizzazione energia, azione, contatto e di nuovo ritiro), possiamo stabilire dei “punti cardinali”, ovvero delle etichette che fungono da obiettivi “da raggiungere”, da perseguire per ogni fase del ciclo.
Nell’immagine, questa rappresentazione del ciclo di contatto ci aiuta a capire quali possono essere gli obiettivi ideali di un colloquio di orientamento e quindi a cosa ogni fase del ciclo dovrebbe essere dedicata.
Questo schema, non solo ci permette di comprendere se siamo pronti a procedere alla fase successiva, a seconda di dove ci troviamo durante il colloquio, ma anche a mettere in luce le modalità di pensiero ideali per affrontare ognuna di queste stesse fasi. Proprio in questo i 6 cappelli di Edward De Bono ci vengono in aiuto.
E come comprendere al meglio tutto questo se non con un lavoro di gruppo?
Dopo aver compreso il significato e l’utilizzo di ogni cappello tutto il gruppo di corsisti si è confrontato per posizionare le immagini dei cappelli nelle fasi più idonee.
Solitamente, per gestire le differenti fasi del colloquio, si può tenere in considerazione l’idea di gestione che si trova nell’immagine che segue (anche se non dovrebbe essere considerata come una regola rigida) :
Possiamo notare come ci sia una corrispondenza semantica tra il cappello e le fasi del colloquio. Prendiamo per esempio il cappello bianco, analizzando cosa avviene tra la fase della sensazione e della consapevolezza.
Il cappello bianco viene utilizzato quando abbiamo bisogno di un’analisi oggettiva delle informazioni. Quando abbiamo bisogno di ricevere risposte che poi possiamo trasformare in dati utili per analizzare il problema del cliente. Ecco perché è il cappello che si dovrebbe indossare nella fase della sensazione, all’inizio del ciclo.
Infatti il cappello bianco:
- Non offre interpretazioni e non esprime opinioni
- É come se imitasse un computer
- Fa domande precise e specifiche
- Conosce la differenza tra fatti creduti e fatti controllati e accertati
Indossare il cappello bianco è fondamentale per analizzare la domanda del cliente, per comprendere il problema e per definire il suo obiettivo. Ed anche chiarire, a noi e al cliente, cosa lo ha spinto davvero a parlare con noi, con l’orientatore o l’orientatrice.
Ad esempio solo dopo aver definito l’obiettivo, ed essendo consapevole di ciò che davvero vuole, che il cliente sarà pronto a mobilitare la sua energia facendo emergere tutte le sue emozioni.
Per favorire l’emersione delle emozioni del cliente sarà utile indossare il cappello rosso. Saremo in una nuova fase del ciclo, tra la consapevolezza e la mobilizzazione dell’energia. E via discorrendo.
🟡Quando la paura di vivere
una nuova esperienza ci blocca🟡
Come dicevo poco fa, a volte è necessario rompere lo schema, dare fiducia al pensiero creativo, per dare vita, generare un momento straordinario.
Ma per arrivare a questo non è facile.
Il docente Cristian Flaiani ha supervisionato le simulazioni di colloquio pomeridiane, e credo che abbia percepito chiaramente lo stato di irrequietezza in cui verteva la classe durante quel sabato pomeriggio.
Perciò, prima, durante e dopo le diverse simulazioni di colloqui di orientamento, Flaiani ci ha tenuto a parlare delle resistenze al contatto che attiviamo quando siamo chiamati a relazionarci con l’alterità, di come tendiamo ad affrontare le nostre paure come orientatori, ed anche di cosa accade per chi si trova nella posizione di cliente e fa fatica ad abbracciare l’energia che si sta generando durante la relazione d’aiuto.
In entrambi i casi ascoltare quell’energia significa uscire fuori dal sé, abbandonare le certezze, la zona di comfort che ci tiene incollati a noi stessi.
🟡Le resistenze al contatto che attiviamo continuamente🟡
A volte, questo stato mentale può coincidere con la resistenza al contatto chiamata confluenza, ovvero quando non ci consentiamo di percepire il nostro confine, della separazione dal resto, e quindi di essere consapevoli della propria individualità rischiando che il sé e il tu, l’altro, vengano percepiti come indifferenziati.
Lo stato di RITIRO nel ciclo di contatto gestaltico corrisponde allo stato di confluenza. E per far sì che il sé emerga dobbiamo rompere la confluenza.
Come esplicitato dal docente Flaiani per rompere la confluenza ci vuole coraggio. In questo caso, per delle persone che vogliono diventare orientatori come me, dovremmo passare dall’idea “non sono pronto” a “ce la posso fare”.
E quindi prendere il proprio spazio al centro della stanza! (con la consapevolezza che se non siamo perfetti va comunque bene)
Qui un pensiero va alla nostra tutor Paola Fares che ci motiva sempre a metterci in azione e dare il meglio di noi.
Comunque è accaduto qualcosa di simile anche dal punto di vista dell’orientata durante tutti e 3 i differenti colloqui di orientamento che hanno visto come cliente una nostra collega corsista, che per privacy chiameremo Y.
Cosa è successo?
Cristian ha sottolineato che la mancanza di informazioni non ottenute, a causa di un utilizzo non ottimale del cappello bianco da parte delle orientatrici, ha fatto sì che il problema e l’obiettivo di Y non emergessero appieno.
Questo ha destabilizzato sia Y, sia le orientatrici Annamaria, Daiana e Silvia.
L’utilità delle analisi e dei confronti sui colloqui osservati, da parte di tutto il gruppo dei corsisti, ci hanno permesso di comprendere quali ulteriori resistenze al contatto sono emerse.
Credo, e mi permetto di dire, che è stata proprio la resistenza al contatto della deflessione a non permettere ad Y di avere un contatto pieno e profondo con le orientatrici.
La deflessione si trova spesso tra la fase della sensazione e della consapevolezza e riguarda l’evitare deliberatamente di prestare attenzione al proprio bisogno, pur riconoscendolo, disturbando così l’emergere della figura.
Senza approfondire questo concetto possiamo dire che la deflessione è “non farsi toccare dall’energia che sta nascendo”.

Rappresentazione grafica della DEFLESSIONE
🟡Il colloquio finale con la professionista🟡
Negli ultimi 40 minuti abbiamo avuto il piacere di assistere al colloquio svolto e gestito dall’orientatrice Chiara Smerilli. Lei stessa si è formata con il centro di formazione Simbiosofia e ci ha permesso di assistere ad un colloquio di orientamento gestito da una professionista.
Dopo aver cercato di chiarire attentamente il problema portato nella relazione, Chiara ha guidato Y nelle diverse fasi del ciclo di contatto fino a mobilitare la sua energia, formulare le sue idee e renderle progetto, fino a far vivere una nuova esperienza di contatto con se stessa.
Grazie a Chiara abbiamo potuto vedere maggiormente altri cappelli in opera, come:
il rosso: evidenziando maggiormente le emozioni e il sentire di Y;
il nero e il giallo: per formulare il progetto di Y, dalle sue idee positive e costruttive ai rischi e agli elementi negativi legate ad esso;
il verde: che ha permesso ad Y di vivere un’esperienza nuova, alternativa, originale, creativa, mettendo in azione la sua energia.
È stato raggiunto il contatto? Quante volte? Invito i presenti di quella giornata a rifletterci.
Il mio feedback
Ascoltare, osservare i colloqui fra Y e le orientatrici, per me è stato frustrante, quanto educativo.
Ci ho riflettuto, ed è stato personalmente frustrante perché ho cercato di osservare ed ho a tratti percepito l’energia creata da Y e la sua orientatrice, ma spesso quell’energia l’ho sentita deviata.
Ma è stato anche molto educativo. E per questo ringrazio di cuore Y e coloro che si sono rese orientatrici.
Osservare, ascoltare, sentire, per quasi tutto il pomeriggio, la stessa persona da orientare, mi ha permesso di comprendere il ciclo di contatto e le resistenze che attiviamo di volta in volta. Lo sforzo di Y è stato encomiabile e spero che queste consapevolezze siano emerse anche nei miei colleghi di corso.
Le orientatrici hanno fallito nel loro obiettivo di orientare?
Assolutamente no. Sono sicuramente nati nuovi sentieri dentro Y. Che molto probabilmente, in futuro, la porteranno ad animare un’idea, a rigenerare il suo animo, ad ascoltare quell’energia creata nella relazione, oltre le paure.
🟡Come dice Flaiani, il contatto
è la fase principale dell’esperienza🟡
Con le prime 3 orientatrici, Annamaria, Daiana e Silvia, è stata vissuta un’esperienza nuova da parte di Y? Riflettiamoci.
In Gestalt se fai un’esperienza nuova, rispetto a te stesso/a, ti fa CRESCERE. Se invece non fai nessuna esperienza nuova RISTAGNI.
Il colloquio in Gestalt è un colloquio che deve portare a fare un’esperienza diversa, nuova.
L’esperienza si ha al confine di contatto, ovviamente anche con me stesso/a. Il contatto perciò è la fase principale dell’esperienza.
🟡Ce l’abbiamo il coraggio di aprire nuovi sentieri interiori?🟡
Nella nuova esperienza, c’è tutta la possibilità di una nuova vita, di nuovo mondo che si viene a creare nella mente dell’orientato. Si, perché a mio parere siamo disorientati finché non siamo noi ad avere il coraggio di credere in una nuova idea che illumina una nuova direzione.
E perché no? Potrebbe tracciare la nostra progettazione esistenziale”
A noi orientatori spetta aprire spazi e nuove possibilità, prima di tutto in noi stessi. Dovremmo avere il coraggio di vedere nuovi orizzonti dentro noi, per poi avere la capacità e la consapevolezza di poter aiutare gli altri a vedere nuovi orizzonti dentro di loro.
Indossiamo di tanto in tanto il cappello verde durante le nostre giornate, e guardiamo il mondo con un nuovo sguardo, in modo alternativo. Provochiamoci, mettiamoci in discussione.
Facciamo in modo che una nuova scintilla accenda la fiamma che aspettavamo dentro di noi o che la goccia faccia traboccare il vaso delle nostre paure fino ad inondare il nostro stesso mondo…sarà forse la nostra occasione per rinascere, davvero.
Per te che sei arrivata/o fino in fondo alla lettura, ti lascio con una frase di un grande filosofo:
TUTTO CIÒ CHE NON SI RIGENERA DEGENERA
e questo vale anche per la fraternità.
Questo la rende ancora più preziosa: essa è fragile come la coscienza,
fragile come l’amore la cui forza è tuttavia inaudita.
Edgar Morin ❤️
Al prossimo diario,
Greg 😉